domenica 13 settembre 2009

"Blow Up" ovvero "Chi mi ha rubato il cadavere?"

Appunti per una schematizzazione critica del film di Antonioni.


La pellicola presenta svariati punti su cui andrebbe "addensata" l'attenzione.
Non è un film che prosegue sempre allo stesso modo. All'esterno può sembrare anche pretestuoso. In questa sede, non si farà riferimento ad un'interpretazione del film alla luce del libro (non letto), né si indagheranno i precisi scopi dell'autore regista. Si cercherà esclusivamente di ascoltare ciò che il film può dire (dare).

L'irrequietezza del protagonista ci è comune: ce ne immedesimiamo.
E' un giovane di successo, brillante ed autonomo. Tuttavia è solo; circondato da un mondo incoerente e misterioso.

Scene:
La chitarra spaccata, rotta, percossa, schiacciata e infine lanciata sul pubblico e che cade proprio sull'unica persona indifferente allo "show". Che nonostante questo l'afferra, la trattiene, scappa, si fa largo nella folla isterica che vuole l'oggetto. Riesce ad uscire, arriva in strada, la folla è seminata. Guarda una vetrina, guarda il pezzo di chitarra. Lo lascia cadere e se ne va. E' raccolto da un passante, che l'osserva e poi la ributta, facendo spallucce. Un oggetto del desiderio svuotato di valore per un semplice cambio di contesto. Il valore relativo, il valore che c'è e non c'è. I valori dei gruppi. I valori come scelta o come conformismo.

Banalmente, la scena dei mimi che giocano a tennis con una palla che non c'è, e che pure sembra reale. Non si mima il gioco del tennis, piuttosto si mima l'esistenza di qualcosa.
L'assunzione di qualcosa che non c'è come gioco ed esercizio mentale, in cui viene coinvolto anche il protagonista, che non può fare a meno di raccogliere la palla inesistente e rilanciarla ai giocatori. Il confine della verità che si fa labile.

La smania di capire l'enigma dell'omicidio scoperto dalla pellicola fotografica, che rimane avvolto nel mistero. Una vicenda di cui non si capiscono motivazioni, senso, contesto. Il ritrovamento di un cadavere, l'esigenza di scattargli foto. La fotografia rappresenta forse un tentativo di rendere oggettivo e catturare qualcosa che allo sguardo umano è sfuggente. La fotografia ingrandisce (blow up) ma anche anestetizza il reale.
Tuttavia il nostro per vivere fa il fotografo di modelle. Un lavoro che svilisce la funzione salvifica della fotografia, poiché questa diviene uno strumento creatore di menzogne. Il fotografo, in questo caso, è colui in grado di creare artificiosamente un'immagine pressocché inesistente. Il creatore dell'apparenza che esalta solo una dimensione del reale, moltiplicandola esponenzialmente (probabilmente è qui che si pone la critica sociale). L'utilizzo economico-sociale della fotografia è quindi tutto il contrario della fotografia-arte come filtro che indaga, oggettivizza e soprattutto GIUSTIFICA la realtà.
Il cadavere scomparso, sottraendosi all'obiettivo del fotografo, rimane infatti privo di giustificazione, insensato. Al confine fra l'esserci stato davvero o meno; fra il sogno e il reale, ed il protagonista ne rimane tramortito. Vive il limbo dal quale solo la fotografia lo poteva sottrarre.

Il morto diviene così forse meno reale della pallina da tennis dei mimi, anch'essa invisibile alla macchina fotografica ma almeno riconosciuta socialmente.
E l'uomo rimane sottomesso al dubbio esistenziale, sperduto, con la cinepresa che dall'alto si allontana e lo lascia al suo destino.


Sono ben accetti eventuali contributi.

Nessun commento:

Posta un commento