mercoledì 11 novembre 2009

Considerazioni autoindotte in risposta al post di Gingko "Considerazioni sull'arte"

-postarlo sui commenti mi pareva eccessivo anche per questo blog. Così l'ho messo qui.

Come al solito, la profondità del tuo post è tale da impedirmi di essere sicuro di aver capito anche solo 1/3 del messaggio che stai tentando di trasmettere.
Tuttavia,
da uomo della strada,
penso che:

Forse l'arte può rappresentare il migliore anello di congiunzione fra pubblico e privato. Infatti, l'esperienza intima, privata, non è neutra. Come dicevo in uno dei post pilota, l'arte non può che proiettarsi politicamente anche quando non sembra veicolare contenuti politici espliciti.
PICCOLA PARENTESI
Questo è vero poiché il contenuto politico per eccellenza è una qualsiasi percezione del mondo e della società, per i suoi riflessi nella prassi e nella teoria sentita dall'individuo. Questo va sempre ricordato. Non bisogna richiamare per forza le lotte fra concezioni del mondo nella guerra fredda perché questo appaia evidente, nè il terrorismo, nè la lotta armata (ma è qui che si palesa anche agli ottusi).
CHIUSA PARENTESI
Per farla breve, una qualsiasi esperienza privata nasconde l'attitudine del soggetto e l'ambiente sociale in cui egli si trova. Compresa la non neutralità dell'avvenimento privato, intrisa di relazioni sociali, convenzioni (fra cui il linguaggio) e quant'altro, appare allora chiaro che la scelta dell'avvenimento rappresentato e del modo di rappresentarlo, insieme al giudizio e alla disposizione d'animo dell'autore, costituiscono gli elementi della sua posizione, per quanto implicita, non detta, non consapevole; e tuttavia osservabile e analizzabile.

Nell'opera 8e1/2, Fellini parla proprio di questo. La controparte dialettica del regista-protagonista, in tutto il film, è appunto un critico. Il giudizio di questi sul film è spietato: mancherebbe la critica intellettuale, il film costituirebbe una mera riproduzione di avvenimenti soggettivi in cui non si riesce a rintracciare una posizione politica veramente progressista.
Ecco cosa dice il critico (cit.):
"ad una prima lettura salta agli occhi che la mancanza di un'idea problematica, o se si vuole di una premessa filosofica, rende il film una suite di episodi assolutamente gratuiti; può anche darsi divertenti nella misura del loro realismo ambiguo.Ci si domanda che cosa vogliono dire realmente gli autori. Ci vogliono far pensare? Vogliono farci paura? Il gioco rivela fin dall'inizio una povertà di ispirazione poetica[...]"

E ancora, facendo riferimento ad un episodio particolare del film:
"E che significato ha? è solo un personaggio dei suoi ricordi d'infanzia. Non ha niente a che vedere con una vera coscienza critica.[...] I suoi piccoli ricordi bagnati di nostalgia, le sue evocazioni inoffensive, e in fondo emotive, sono le reazioni di un complice."
Infine, inesorabile:
"Noi intellettuali abbiamo il dovere di rimanere lucidi fino alla fine. Ci sono già troppe cose superflue al mondo. Non c'è bisogno di aggiungere altro disordine al disordine.[...] Distruggere è meglio che creare quando non si creano le poche cose necessarie. E poi c'è qualcosa di così chiaro e giusto al mondo che abbia il diritto di vivere.[...] Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita. Che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. Ad un artista veramente degno di questo nome non bisognerebbe chiedere che quest'atto di lealtà: educarsi al silenzio.[...] Se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione..."



La risposta di Fellini all'acuto critico è palese: Fellini ha fatto il film.
"Questa confusione sono io, non io come dovrei essere. Dire la verità: quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo."

Chi ha ragione?

Se Gingko mi permette di sovrappore la sua posizione con quella del critico(forzatamente, ne sono consapevole: citando il situazionismo si pone ben aldilà della posizione più grossolana del critico),
rimarrei io nella parte della difesa. (Ci sono altre mille forzature: ad esempio, Gingko parlava specificatamente di poesia, e non so quanto ciò a cui faceva riferimento possa essere esteso alla cinematografia)

In cosa difendo Fellini.
Ciò che salva il film di Fellini è proprio il fatto che la problematica filosofica c'è, anche se riceve una risposta almeno ambigua. E si chiama dubbio, incomprensione, strisciante nichilismo. La risposta che mi sembra di rintracciare in Fellini è che un modo di risolvere la questione sta nell'accettazione di questa condizione umana. Nel saperne trarre godimento. E' un vincere arrendendosi. E' la risposta individualista. Non c'è progressismo. Il regista-protagonista accetta di essere sbattuto dalla storia, passivo. L'incapacità di assumere una posizione di fervore attivista si traduce nella scelta di sottoscrivere inevitabilmente il pacchetto che la storia e la vita ci hanno dato. Si sottoscrive l'oblio, e si muore.
Ed è pur sempre un modo di rispondere, assolutamente dignitoso. E' una scelta che però è condannata ad una dimensione sostanzialmente intimista e individualista.
L'uomo rimane solo, non importa quanti renda partecipi dei propri affari.
Ha un secondo livello di interesse, inoltre. La sensibilità dell'autore, che ci vomita addosso la sua intimità, fornisce materiale. Materiale prezioso, materiale da meditare. A volte è importante rivivere attraverso le esperienze degli altri per indovinare certe cose. Fosse anche solo per questo, opere di tal genere sono cruciali.

Poi, oh, il film è girato da Fellini con tale maestria che comunque varrebbe qualcosa. Certo più del disastro che appare sulle sale tutte le settimane. Quelle sì che sono immagini solo asfissianti.


Questa è la morale della predica.