mercoledì 30 settembre 2009

Bau? A me non sembra che faccia Bau.

...Woof Woof!...

...Woof Woof!...

...Woof Woof!...

...Woof Woof!...

...Woof Woof!...

Tra le tante cose che mi trasmettono un senso di stupidità e inutilità, ai primi posti c'è sicuramente l'abbiare regolare di un cane.

Il tacchino gloglotta,il pavone paupula,il furetto potpotta, il coniglio ziga, il cardellino trilla. E la mucca?

La mucca fa...MMMMMeeaauuuuuuuuuuuuuuuuUUU

Dolce tenera mucca.

mercoledì 23 settembre 2009

Maledetto chi pende dal legno

Ci vergognamo della morte e della sua insignificanza, e lo stiamo dimostrando quanto mai in questi giorni.

La retorica intorno alla morte non è una smorfia innocua che la tv tesse intorno agli eventi che riesce a fagocitare. E' uno strumento politico che si esercita contro la morte anonima e priva di valore (dalla prospettiva mondana e quindi, a ben vedere, dalla prospettiva di ogni “valore” propriamente detto).

I militari uccisi non erano buoni, bravi, ed umani. L' attribuzione di queste qualità dovrebbe forse avvalorare la loro morte? In tal caso si tratterebbe solo di una sfrontata esibizione di cinismo, che dichiara di non saper cogliere il mistero della morte se non sotto compenso, ovvero sotto la retribuzione di valore. Così canticchiano i patrioti, gli umanitari e tutti i buoni che siedono a destra come a sinistra: "Tutto ciò ha un valore, quindi anche la sua fine ha valore. In caso contrario le nostre lacrime sarebbero sprecate". Ecco come la logica dell' ordine e quella dell' equilibrio oikonomico si introducono in faccende che non le riguardano. L' autentica tragedia è mancata e disconosciuta dai media, che per poter raccogliere materiale a loro confacente sono costretti a costruirne una omeostatica (dell' identità tra valore in vita e valore della morte).

Lo scoop e lo scandalo non fanno presa di fronte alla vera tragedia e alla vera morte. Per questo io dico che quei militari, dalla prospettiva non sono morti autenticamente e non hanno sofferto, così come le loro famiglie perbene e conservatrici. Hanno semplicemente ricevuto il loro compenso; i talebani prima e i media poi erano lì a fornirglielo. Lo scoop e lo scandalo possono attivarsi solo lì dove c' è la simmetria di questo compenso. "E' morte il Papa", "E' morto Berlusconi", "Sono morti 6 valorosi uomini di Patria", qui lo sporco valore mondano di un individuo entra in affari con la morte e cerca di tornarsene a casa con un guadagno pari al valore di ciò che le ha ceduto.

La vera tragedia e la vera morte sono quelle di Cristo. La morte di Cristo non è il più grande scoop della storia, ma esattamente l' opposizione più dura all' omeostasi tra valore mondano e valore della morte. Cristo è morto di una morte anonima, come un pezzo di carne sanguinolenta, nudo, pisciandosi addosso per il terrore, bestemmiando il Dio di Abramo. Gesù muore da maledetto dall’ uomo e dalla divinità. La sua è una morte che fa schifo, una morte vile, meschina. Il mondo gli ha concesso al più il valore di un criminale ("maledetto chi pende dal legno"), la sua morte è priva di qualsiasi valore, vergognosa. E' insignificante, di fronte agli uomini. Insomma si tratta di una morte autentica. Ed è questa morte che si dovrebbe ricordare a proposito dei parà, il loro annegare nel sangue piangendo come bambini e bestemmiando contro la Patria, rinnegando tutte le loro superbie militariste.

In “Homo Sacer” Giorgio Agamben afferma che bisogna ricordare che le vittime della shoà non sono le vittime di un sacrificio cultuale; al contrario sono morte “come pidocchi”. Ebbene Cristo è morto come un pidocchio, ed anche i sei militari lo sono, e solo ricordando ciò possiamo rendergli davvero giustizia, e non vergognadoci di questa morte. Perché non è affatto il loro valore mondano a rendere densa di significato la loro morte, e coloro che sono pidocchi di fronte al satanico reggente di questo mondo, sono trasfigurati per il reggente del regno a venire.

Due millenni di cultura cristiana di facciata non ci hanno insegnato nulla sullo scandalo rivelatore della croce. Esso provoca uno squilibrio tra valore e morte, lasciando scomparire il primo nella terrificante sovrabbondanza di significato della seconda. Laddove c’ era simmetria, ha portato la spada e l’ asimmetria. Rivela inoltre quanto sia terribile e poco nobile la sofferenza delle vittime. E’ una genuina macchina da guerra contro ogni ideologia identitaria, militarista, e contro ogni sacralizzazione del potere. Il potere è impotente, nell’ ora estrema.

L’ esplosione ha strappato via le medaglie ai paracadutisti, che agonizzano in preda alle convulsioni e alla paura, che maledicono questo mondo, se stessi e, per un ultima volta, Dio, prima di ricongiungersi a lui per l’ eternità.

Gingko

martedì 22 settembre 2009

Sta per tornare

Stasera.
Italia 1.
Terza serata.
CHIAMBRETTI NIGHT.

P.S.
Se riescono a convincerlo a suon di verdoni, stasera come ospite number 1 ci sarà niente-popò-di-meno-che sua eccellenza Quentin Tarantino.

Conversazione che plasibilmente avverrà fra un paio di mesi:

Michele (tornato da Vienna): allora? cos'è successo da quando me ne sono andato?
Alceverde (rimasto vicino Roma): beh, è finito il chiambretti ed è cominciata l'estate.
Michele (tornato da Vienna): ah giusto. E poi?
Alceverde (rimasto vicino Roma): Beh, poi è finita l'estate ed è ricominciato il chiambretti.
Michele (tornato da Vienna): non ci sono più le mezze stagioni.


----Aggiornamento----

Vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che il chiambretti si stia un po' involgarendo e diventando grottesco. Ha perso del mordente, sicuramente, insieme a parte di quel sottile equilibrio fra trash e ironia.

----ulteriore aggiormanento----

Mi sbagliavo.

mercoledì 16 settembre 2009

come è andata a finire

sembra cent'anni fa.

parole sante

Emilio Fede al tg4 di ieri: "certa stampa - che nega la realtà- mortifica se stessa, davvero".

Ma è inconsapevole o cosa?

martedì 15 settembre 2009

la voglio anche io

Navarre Raee ha messo su una barba micidiale.

Darei un dito per averla rossiccia e rigogliosa come la sua.

domenica 13 settembre 2009

"Blow Up" ovvero "Chi mi ha rubato il cadavere?"

Appunti per una schematizzazione critica del film di Antonioni.


La pellicola presenta svariati punti su cui andrebbe "addensata" l'attenzione.
Non è un film che prosegue sempre allo stesso modo. All'esterno può sembrare anche pretestuoso. In questa sede, non si farà riferimento ad un'interpretazione del film alla luce del libro (non letto), né si indagheranno i precisi scopi dell'autore regista. Si cercherà esclusivamente di ascoltare ciò che il film può dire (dare).

L'irrequietezza del protagonista ci è comune: ce ne immedesimiamo.
E' un giovane di successo, brillante ed autonomo. Tuttavia è solo; circondato da un mondo incoerente e misterioso.

Scene:
La chitarra spaccata, rotta, percossa, schiacciata e infine lanciata sul pubblico e che cade proprio sull'unica persona indifferente allo "show". Che nonostante questo l'afferra, la trattiene, scappa, si fa largo nella folla isterica che vuole l'oggetto. Riesce ad uscire, arriva in strada, la folla è seminata. Guarda una vetrina, guarda il pezzo di chitarra. Lo lascia cadere e se ne va. E' raccolto da un passante, che l'osserva e poi la ributta, facendo spallucce. Un oggetto del desiderio svuotato di valore per un semplice cambio di contesto. Il valore relativo, il valore che c'è e non c'è. I valori dei gruppi. I valori come scelta o come conformismo.

Banalmente, la scena dei mimi che giocano a tennis con una palla che non c'è, e che pure sembra reale. Non si mima il gioco del tennis, piuttosto si mima l'esistenza di qualcosa.
L'assunzione di qualcosa che non c'è come gioco ed esercizio mentale, in cui viene coinvolto anche il protagonista, che non può fare a meno di raccogliere la palla inesistente e rilanciarla ai giocatori. Il confine della verità che si fa labile.

La smania di capire l'enigma dell'omicidio scoperto dalla pellicola fotografica, che rimane avvolto nel mistero. Una vicenda di cui non si capiscono motivazioni, senso, contesto. Il ritrovamento di un cadavere, l'esigenza di scattargli foto. La fotografia rappresenta forse un tentativo di rendere oggettivo e catturare qualcosa che allo sguardo umano è sfuggente. La fotografia ingrandisce (blow up) ma anche anestetizza il reale.
Tuttavia il nostro per vivere fa il fotografo di modelle. Un lavoro che svilisce la funzione salvifica della fotografia, poiché questa diviene uno strumento creatore di menzogne. Il fotografo, in questo caso, è colui in grado di creare artificiosamente un'immagine pressocché inesistente. Il creatore dell'apparenza che esalta solo una dimensione del reale, moltiplicandola esponenzialmente (probabilmente è qui che si pone la critica sociale). L'utilizzo economico-sociale della fotografia è quindi tutto il contrario della fotografia-arte come filtro che indaga, oggettivizza e soprattutto GIUSTIFICA la realtà.
Il cadavere scomparso, sottraendosi all'obiettivo del fotografo, rimane infatti privo di giustificazione, insensato. Al confine fra l'esserci stato davvero o meno; fra il sogno e il reale, ed il protagonista ne rimane tramortito. Vive il limbo dal quale solo la fotografia lo poteva sottrarre.

Il morto diviene così forse meno reale della pallina da tennis dei mimi, anch'essa invisibile alla macchina fotografica ma almeno riconosciuta socialmente.
E l'uomo rimane sottomesso al dubbio esistenziale, sperduto, con la cinepresa che dall'alto si allontana e lo lascia al suo destino.


Sono ben accetti eventuali contributi.

Urgenze della volontà di potenza (lezione nietzschiana)

Larga parte delle crudeltà che costituiscono la rete di fondamento di gruppi sociali più o meno vasti, resta nascosta per motivazioni che appartengono alle strutture stesse del con-essere. "Crudeltà", concetto che vorrei fosse depurato almeno provvisoriamente da connotazioni morali, sta a qui ad indicare l' essenza conflittuale della comunità, dell' interazione. L' atto sociale è in ogni sua manifestazione un esercizio, o un tentativo di esercizio, di potere. Va da sé che la comunità stessa deve opacizzare a se stessa questa considerazione, per edificarsi, implicitamente, su tali conflitti. Consigliare, fuggire, derubare, manifestare o sottrarre consenso, sono tutte modalità dell' agire nel comune, e tutte intimamente conflittuali, perché rivolte in ultima analisi ad una manifestazione e ad un esercizio del proprio essere, anche a suo stesso detrimento. "Con-vivere, e quindi a tutti gli effetti vivere, è prendere posizione", si potrebbe affermare "detournando" una celebre affermazione di Michel Foucalt. Ciò significa assumere in piena consapevolezza, e prendere davvero sul serio, le tattiche della volontà di potenza nietzschiana. Questo concetto spiega le interazioni dell' uomo con l' uomo e con l' ambiente, come applicazione della propria energia, un cieco riversamento o scaricamento della propria forza, che solo a posteriori si conferisce un significato o, per parlare con Nietzsche, una "maschera". Potremmo prendere l' interazione tra due individui come modello-esemplare di questa struttura o strategia di potere: immaginando due individui posti in relazione frontale, la volontà di potenza agisce in modo tale che reciprocamente si tenti di esercitare il proprio dominio sull' altro, con una manifestazione del proprio essere, dove l' altro è il punto d' appoggio e la direzione della forza che si scarica. In seguito, necessariamente, una delle due parti non può che cedere, ma può attivare delle contro-strategie che rovescino le sorti del conflitto, e così via. Tuttavia questa forza, a meno che non si rimanga sul terreno del conflitto tra corpi, e forse neanche in esso, attende di essere significata da qualche forma, intellettuale, morale, poetica, filosofica, politica. La forza che vuole scaricarsi, non sa perché: tuttavia non può fare a meno di attendere un suo significato. Un buon esempio potrebbe essere quello dell' individuo le cui profondità inquiete, magmatiche, rissose, vivaci, soffrano nel rimanere imprigionate e tendano a trovare uno sbocco verso l' esterno, ad esempio nel malmenare qualcuno che abbia offeso qualche suo familiare, con la giustificazione dei valori dell' orgoglio e della famiglia. Questa forza è quindi costretta, paradossalmente, ad inventare il proprio avversario, con l' unico obiettivo di esercitarsi su qualcosa o qualcuno. E' evidente che in questa prospettiva non sono ideali o valori a precedere ed orientare l' agire umano, ma è vero piuttosto il contrario, ovvero che è l' agire a dover trovare ed inventare ideali o valori per esercitarsi. E' questo che intende Nietzsche, in uno degli aforismi che condensano in modo fulmineo tutto il significato della volontà di potenza, quando afferma che non si ama mai l' oggetto dell' amore, ma l' amore stesso. Non si tratta di proporre un egoismo o un individualismo, se non in via indiretta, in quanto l' energia iniziale nessuno si sognerebbe di identificarla con un individuo, un soggetto. L' esibizionismo inoltre è solo una conseguenza di quella forza immotivata e cieca che vuole fuoriuscire, e che quindi non si appaga del solo affermare un ideale o della sola verità, ma vuole assicurarsi che questo ideale abbia effetto e, di nuovo, si eserciti. Che questo acuisca l' attenzione su fenomeni quali i giudizi di gusto, sull' arte o sulle donne. Le scelte e le preferenze sono di norma arbitrarie, armi che il cavaliere disarmato della volontà di potenza ricerca sulla via del suo esercizio di potere. E questo potere, se non trova una via verso l' esterno, si appaga benissimo di applicarsi all' interno dello stesso soggetto.
Trovo che questa chiave di lettura illumini numerosissimi fatti quotidiani, dai quali, come in un palinsesto, possiamo leggere la filigrana dei conflitti che ne sono il sostegno. Enumererò, qui di seguito, alcuni esempi. Un' amico è entusiasta per le sue nuove scoperte in campo musicale, o cinematografico. Questi prodotti, proprio in quando consentono la sua individualizzazione (in senso foucaultiano e quindi nietzschiano del dar forma ad una forza cieca) gli permettono di inserirsi in una nuova configurazione di forze di fronte a coloro cui manifesta queste scoperte, anche di fronte a se stesso, in modo tale che non sia necessario ricorrere a semplicistiche spiegazioni di esibizionismo o di cattiva coscienza. Qui non nego che qualcuno possa realmente apprezzare esteticamente un determinato prodotto, in tutta buona coscienza; è mia intenzione mostrare il carattere derivato di questa valutazione. Un' altro caso quotidianamente verificabile è quello del fornire informazioni utili a qualcuno, ad esempio indicazioni stradali, consigli di ogni genere, in cui il "soccorso" che si fornisce all' altro è il veicolo più micidiale per soggiogarlo, per dominarlo.
So che questo elenco può apparire, ed in parte lo è, ridicolo, ma spero con essi di raggiungere la massima chiarezza possibile nel delineare, in casi semplici e lineari, la struttura conflittuale che sostiene l' interazione sociale.
Peraltro l’ autentico massacro avviene nelle guerriglie sociali condotte con gli strumenti delle più o meno raffinate tecniche di esclusione-inclusione in gruppi. Il caso più interessante è quello che si verifica nel momento in cui in un determinato gruppo la presenza di un individuo è fondamentale proprio in quanto continua minaccia da espellere. Il brutto, lo stupido, il poeta, il religioso, sono le figure che, senza escludere le altre, si offrono più volentieri alla convergenza di tutti i membri del gruppo, che acquista senso ed identità proprio nella loro esclusione. Qui è la potenza collettiva che deve esplodere, in modo da rendere possibile l’ auto- percezione del gruppo in quanto tale. E proprio qui si lascia ammirare tutto il significato di “dispensatore di senso” che la violenza esercitata in qualsiasi direzione porta con sé, donando senso a chi la esercita.
La compagnia di un amico, richiesta apparentemente disinteressatamente e con le migliori e più simpatetiche intenzioni, è in questi casi l’ indispensabile parafulmine dell’ inarrestabile brutalità del bagaglio di energia distruttiva che si accumula nei gruppi. Ed il gruppo, lungi dall’ esistere precedentemente, viene ad essere solo dopo quest’ atto di crudeltà. D’ altra parte, dalla prospettiva dell’ escluso, anch’ egli accresce la sua potenza ed acquista essere mediante l’ atto di esclusione. Tuttavia, in questo caso, ciò che è decisivo è il vigore spirito del potenziale escluso, che paradossalmente può raggiungere vette elevatissime proprio quando appartiene ad una delle categorie cui accennavo sopra. Nel caso in cui la potenza dell’ emarginato brami di scagliarsi con urgenza in qualche direzione (e la direzione più vicina è quella del gruppo che gli abbaia contro) essa non può saziarsi di manifestarsi sotto forma di vittimismo; tantomeno di esplicarsi nella magra collocazione in un posto, seppur subalterno, all’ interno del gruppo che, paradossalmente, mediante l’ esclusione include. E’ così che nascono le migliori arti, filosofie, e religioni: sono il grido di guerra delle vittime scampate al massacro dell’ armento affamato di coesione ed entusiasta identità, e che contro di esso si lanciano. Coloro che, impotenti di fronte all’ orda che attende il sacrificio, sanno di non poter riflettere su di essi l’ energia distruttiva che hanno bisogno di espellere, fanno della loro stessa vita una battaglia contro la vita. Ma non nel senso nietzschiano di ascesi o rigetto, quindi di auto-lesionismo. La loro è senza dubbio frustrazione, ma la frustrazione dell’ eccezione che vuole distruggere la vita perché vuole eccepirla, e non per svalutarla. Il loro compito è creare una vita d’ eccezione. Queste arti sono epocali, magnifiche giustificazioni di vite scartate e sofferenti, l’ estrema espressione di una volontà di potenza schiacciata e pure recalcitrante ed inarrestabile. “La pietra scartata dai muratori è divenuta testata d’ angolo”.

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