domenica 22 agosto 2010

Risposta

Su richiesta calorosa di Gingko, pubblico la mia risposta. Non è una risposta nel senso di difesa attacco, parata-stoccata. Perchè non ho voluto giocare a fare il duello. Sono solo alcune osservazioni.

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Rileggendo a distanza di 10 giorni dalla prima lettura, confesso di rispecchiarmi in una discreta parte del quadretto rappresentato. Ammetto anche che mi abbia inizialmente infastidito, anche se non offeso o ferito. Del resto è sempre curioso e alienante insieme scoprire l'immagine di sé sviluppata dall’altro. Sia perché non rispecchia l'immagine che vogliamo dare di noi, sia perché non rispecchia l'immagine che abbiamo di noi. Soprattutto può irritare il modo con cui vengono riportate nostre opinioni, convinzioni e idiosincrasie. Poiché conosciamo anche il nostro "non-detto" e percepiamo come una manipolazione un resoconto che in realtà è una estrapolazione empirica in buona fede. In effetti, in alcuni punti ritengo che tu mi faccia un torto.
Parto anzitutto da una definizione della mia posizione rubata altrove: “io sono un borghese giacobino che crede alle virtù della cosa pubblica e pensa che l’impegno civico faccia parte dell’eleganza dell’esistere”. Ma sì, mi sento essenzialmente borghese. Credo in realtà che non dia grande contributo teorico la distinzione “borghese”/”operaio”, usata a sproposito e in modo arbitrario. Siamo tutti borghesi e siamo tutti operai.
Sono assolutamente convinto che le nostre visioni contrastanti trovino espressione e accelerazione nel concetto di rivoluzione.
È chiaro che io non concepisco la rivoluzione come un blocco unitario ben identificato, con una meta sicura. Non ho mai “studiato” (perché anche di questo si tratta) l’amore di Gesù di Nazareth o l’amore che vendica e scioglie l'oppresso dalle sue sofferenze. E non mi è certo chiaro come questo processo riuscirebbe a operare e liberare. È decisamente vero che “la sua estrema fiducia nella tecnica gli impedisce di attingere ad un'immagine credibile di felicità”. Non credo al paradiso in terra.
Ma è abbastanza sbagliato dire con questo tono che scorgo “nell'incremento tecnico della produzione capitalista e nel conseguente mutamento della relazione tra forze produttive e rapporti di produzione le prime e necessarie tappe che preludono all'emancipazione del proletariato.” Ti confesso sinceramente che non sono molto convinto di niente a questo proposito. Sono tuttavia convinto che la produzione sociale e l’assegnazione dei diritti di proprietà possano mutare anche radicalmente senza che muti radicalmente la condizione umana. Poiché sempre, questa, rimarrà soggetta ad una gestione economica delle risorse materiali (intendendo queste nel modo più versatile possibile) limitate ma a cui non è affatto circoscritta. Fino alla fine del mondo l’umanità dovrà sempre fare i conti con morte, disagio, emarginazione. Eppure questo non conta. La possibilità di raggiungere una qualche definitiva felicità come la dipingi tu non coincide con la mia visione della natura umana e della società: non nego che sia possibile, nego però che qualcuno possa di affermare convincentemente che sia realizzabile senz’altro in questo mondo (l’unico del resto). L’uomo e la società sono cose troppo complicate perché chiunque possa vantare una ricetta magica.

Sia ben chiaro, io non credo di avere una risposta. Sicuramente non ho LA risposta. Forse tu e la tradizione situazionista di cui sembri farti portavoce avete ragione ed avete LA risposta. Per quel poco che ho letto, ho apprezzato. Dal canto mio temo comunque che il guizzo di felicità nell’impiegato che acquista il televisore non sia la liberazione in nuce, soltanto una simpatica immagine dell’umanità, quasi ironica, persino offensiva. Per qualche fanatico invece è lo schiavo che si mette le catene.
Ti dico cosa ho in uggia: visioni liberali che vogliono la società cattiva e opprimente, e l’individuo buono che aspira a realizzare tutte le sue potenzialità, ovvero la cui natura viene martoriata. Il discorso a questo si riduce. Il che lo trovo manicheo e pieno zeppo di ambiguità.
Quello che abbozzi, Gingko, sembra qui una sorta di ritorno alla madre natura, intriso di influenze letterarie. La realtà è che quello che abbozzi qui non è un progetto sociale. Ma attiene soltanto alla tua di salvezza.
Io trovo che non vi sia alcuna ragione per rifiutare il progresso tecnologico, lo sviluppo economico. Penso che non si possa guardare alla storia cancellando quello che c’è e c’è stato, e che l’attuale sia sempre la base da cui si deve partire, nel bene e nel male. Per questo deve essere conosciuto, studiato, compreso. In questo, non si può trascendere da un discorso economico che specifici un po’ di più cosa voglia dire “destabilizzazione radicale”. Tantomeno si può trascendere da una trasformazione politica, antropologica, che deve essere una riappropriazione di sé e non un’imposizione ideologica (solo deleteria). In ciò la cultura, almeno nella fase di transizione, può e deve fare da guida. Una guida cui l’harmony non può contribuire.
L’umanità, questo è l’obiettivo, deve appropriarsi per quanto possibile delle forze economiche che ha scatenato e da cui è governata. Volgerle a suo profitto, invece che esserne succube. Si badi, le forze economiche di cui si parla devono sempre e solo essere un mezzo. Il fine deve essere l’uomo.
Mattia può sentirsi realizzato dalla costruzione di trampoli robotici, e tu non sei nessuno per impedirgli questo millantando le virtù naturali del corpo. Perché di questo si sta parlando.
“Nel momento in cui la società scopre che essa dipende dall’economia, l’economia di fatto dipende da essa. Questa potenza sotterranea che si è accresciuta fino ad apparire sovrana, ha in tal modo perduto la sua potenza. Là dove c’era l’es economico, deve venire l’io”.
L’allentamento delle maglie sociali, obiettivo di cui non hai affatto l’esclusiva, deve essere ragionato sulla base di una visione complessiva della società e dell’uomo.
Confesso ancora di sentirmi troppo ignorante per affrontare qualsiasi progetto riformista. Eppure penso che per tentativi ed errori qualcosa si potrebbe fare.


Alceverde.