venerdì 31 luglio 2009

non c'è posto per la morte

Nella odierna società occidentale, formatasi secondo una logica neolaica, edonista, produttivocentrica coerente con il funzionamento del sistema economico, c'è una cosa che salta agli occhi. Mentre tutto lo stile di vita e ogni momento del quotidiano sia feriale che festivo (differenziazione significativa evidentemente ) è venuto ad essere organizzato e reso più o meno funzionale alla ideologia, l'evento della morte non è stato apparentemente toccato. La morte viene taciuta il più possibile, e si fa riferimento ad essa in modo stereotipato e inautentico. E' come se la morte per l'uomo contemporaneo non esistesse socialmente. Anzi, si può dire chiaramente che l'uomo contemporaneo è nudo di fronte alla morte. Le sue armi spuntate. Ognuno può verificarlo da sé. Non vi è cerimoniale della morte e non vi è una concezione della morte esplicita ed escatologica. E' sorprendente "scoprire" che alla morte segue ancora il rito del funerale in chiesa, una mimica sterile e inopportuna di una cerimonia adatta alle condizioni culturali di un secolo fa.
Si sa, di fronte alla morte si è soli. Ma mai come in questo periodo si è forse stati così tanto "soli". L'induismo -religione che mondanamente era diabolica- offriva in compenso diversi paradisi. Noi non abbiamo un paradiso nè un inferno.
Questo "traguardo" dovrebbe/potrebbe essere in effetti un magnifico punto di inizio. L'assenza di un inquadramento della morte libera da ogni inquadramento anche la vita, e permette di dispiegare una libertà infinita e terribile sconosciuta al religioso tradizionale.
Le cose però non stanno così. La lucidità -e l'apparenza- vorrebbero l'individuo affrancato dalle precedenti Weltanschauung come potenzialmente un superuomo.
Invece ad una potenziale infinità libertà creatrice si oppone una sostanziale omologazione interclassista che si estende a tutta la società.
Come se l'individuo, legato forse dalla preoccupazione della coabitazione fra diversi, non abbia trovato niente di meglio da fare che rimanere immobile ad abbuffarsi, scopare, comprare vestiti, arrivare a fine mese. Tutti allo stesso modo. Esiste una sola cultura, di una povertà disarmante.
E' solo apparentemente paradossale che vi sia contemporaneamente assenza di discorsi reali sulla morte e miseria morale nella vita. Perchè è dalla consapevolezza del "si muore" che parte la consapevolezza del "si vive". Il maggior alleato del conformismo e della reazione è quindi -suppongo- proprio l'assenza di saperi sulla morte. Dalla morte la prassi vuole che si distolga lo sguardo. E' significativo: non importa che qualche etica passata ancora tramandata voglia invece che le si presti attenzione. Perchè la Prassi palesa una Teoria inconsapevole ai più ma vissuta realmente- e che è quella dell'ideologia - che vuole che della morte non ci si preoccupi. Ci si deve preoccupare piuttosto ad allungare la vita, ed è una cosa completamente diversa. La qualità della vita è diventata una questione di mera quantità.


p.s. La tematica è ancora parecchio confusa, spero di chiarirmela e ampliarla successivamente. Nel frattempo posso dire che mi pare che la sociologia giochi un ruolo parecchio importante in questo campo, ma non riesco ancora ad identificarlo precisamente.

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