domenica 14 marzo 2010

Un commento con qualche decade di ritardo de "Il laureato"

E' un film che presenta molteplici spunti di riflessione.
Il protagonista è un rampollo di "buona famiglia", ossia di una famiglia americana alto borghese decisamente agiata. Si è appena laureato. La sua è un'esistenza desolante. Il ragazzo, nonostante l'apporto culturale della laurea, è completamente sprovvisto di mezzi per vivere in un modo spiritualmente soddisfacente. Infatti, da quelle poche battute che gli lasciano pronunciare, emerge la sensazione di vuoto e di deriva più totale. Intenzionalmente o meno, il film diviene una critica devastante della "buona" e opulenta società agiata americana: allo sviluppo ipertrofico della ricchezza materiale si accompagna una povertà spirituale senza mezzi termini. Uno straccione del medioevo fa più onore all'umanità di uno qualsiasi dei personaggi secondari.
La macchina da presa non si fa alcuno scrupolo. In quella società, almeno dal punto di vista proposto dalla regia (che assorbe nel suo obiettivo l'occhio e la mente del protagonista) non esistono persone. I genitori del laureato a malapena vengono inquadrati in volto, così i loro amici e tutti i personaggi secondari. Sfido chiunque a ricordarsi, anche vagamente, il volto di più di 4 personaggi, compreso il protagonista, dei 100 minuti della pellicola. Una regia,quindi, che sembra grezza, poco discreta in un certo senso, ma parecchio efficace. Il protagonista è un'isola circondata da un mare di incomunicabilità e incomprensione.
Il ragazzo, "pardon, giovanotto", è limitato allora da ogni punto di vista. Frustrato dalla noia e dal disagio per delle regole e delle etichette che nessuna giustificazione umanista permette di tollerare, potrebbe anche trovar soddisfazione nel suicidio. In effetti mi sarei aspettato una fine del genere. Almeno, che si accennasse a questa possibilità. Ma non ve n'è traccia nel film (almeno esplicita).
Invece, la soluzione viene trovata, improbabile, in un rapporto di autenticità che riesce a sbocciare con una ragazza. Al solito, sarebbe un rapporto "impossibile", ma la tenacia, se non la morbosità del protagonista riuscirà a renderlo fattuale. Dico morbosità perchè palesemente per il protagonista quel rapporto rappresenta l'ultima spiaggia, l'unico contatto che può rendere tollerabile una vita priva di senso (a riprova del fatto che non di solo pane vive l'uomo). E' una posizione discutibile. Fellini avrebbe fatto dire al suo protagonista che che una donna non può cambiare/salvare un uomo. Del resto Fellini era a suo modo innamorato della vita. Il suo uomo non doveva cambiare, in ultima battuta.
La musica (Simon&Garfunkel) è puntuale. Si sposa alla perfezione con la regia e non ha bisogno di commento.
La scena finale di lui che sbatte contro il vetro strillando istericamente come un animale è bellissima. La scena conclusiva di lui-lei in autobus un po' una pacchianata, con il beneficio del dubbio. Sinceramente, avrei concluso il tutto con lui che si suicida buttandosi contro il vetro e precipitando sanguinante. Ma forse perché anche io non credo che una ragazza possa salvare un uomo.

3 commenti:

  1. Credo che, più in generale, il problema del film stia piuttosto nella domanda: può una passione autentica smuovere un uomo da un totale stato d'indifferenza verso ciò che lo circonda?

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  2. Il protagonista in fatti non viene "salvato" grazie a una ragazza. Anche perchè non abbiamo modo di seguire le vicende della loro storia, che potrebbero anche rivelarsi tragiche.

    Il protagonista viene "smosso", "stimolato" attraverso la passione, che lo mette in moto, all'improvviso, in modo violento e travolgente.

    Mentre questo non era avvenuto attraverso tutti quei contenuti materiali che gli altri gli avevano offerto(vedi il rapporto sessuale con una donna matura, vedi la macchina nuova di zecca).

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  3. Hai ragione, il protagonista non viene salvato ma "smosso", anzitutto. D'altra parte questa spinta ha l'effetto -almeno temporaneo- di riportare verso la vita qualcosa che si dirigeva inevitabilmente verso la morte, se non corporea almeno spirituale. E questo, credo, a prescindere dall'evoluzione della vicenda, che pur richiamando una sorta di happy end, è molto lontana dal fiabesco "e vissero tutti felici e contenti".
    Certo è che la coppia ha trovato in se stessa una ragione per vivere o per morire.

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